martedì 6 novembre 2007

Vajont

02.11.2007


Dopo averne a lungo parlato senza mai veramente deciderci ad organizzare il viaggio, finalmente siamo riusciti a visitare la diga del Vajont. E' stata un'esperienza unica, resa ancor più emozionante dall'aver visto proprio il giorno precedente il video di Paolini sul disastro avvenuto la notte del 9 ottobre 1963 (http://vajont.org/vajont_static/paolini.html), un monologo di grande effetto e denso di emozioni, oltre che di importanti verità.

La diga è a dir poco stupefacente. Alta oltre 260 metri, mi ha dato l'impressione di un enorme foglio di carta incastonato nella montagna... un foglio che ha retto la pressione della frana del monte Toc contenendola oltre la gola della valle, ma che non ha impedito che oltre 50 milioni di metri cubi d'acqua ne scavalcassero il coronamento radendo letteralmente al suolo il paese di Longarone situato a valle della stretta gola. Quasi 2000 persone persero la vita in quella che è stata giudicata una tragedia annunciata, ma il cui pericolo sembra essere stato allora sottovalutato da chi doveva ricavare enormi profitti dalla costruzione della diga.

Ci è stato possibile percorrere il tratto sommitale della struttura. Siamo stati accompagnati dalla guida lungo il coronamento, le cui barriere protettive non erano tuttavia sufficienti a infondermi un po' di sicurezza se solo l'occhio mi si spostava al di là della passerella, in quel vuoto infinito che pareva tuffarsi nella gola rocciosa. Ma, pur con un pizzico di timore di fronte al baratro, non riuscivo a trattenermi dal gettare lo sguardo oltre il bordo del camminamento. Mette soggezione questa diga, soprattutto se si pensa all'immane quanto inutile tragedia di cui si è resa teatro e a vederla così, nel silenzio della vallata ormai riempita dal versante della montagna, silenzio disturbato "solamente" dalla musica proveniente da un furgone di ristorazione, sembra di contemplare un gigante imbronciato perché costretto per punizione a fare da guardia alla valle sottostante da lui in passato devastata.

Ci si trova così, con la frana, da una parte, tanto vicina da sembrare sul punto di addossarsi ulteriormente alla parete della struttura, il baratro dall'altra, e in fondo ad esso il rivolo del torrente che scorre tra le rocce in direzione del Piave, e noi, nel mezzo, a chiederci come l'uomo abbia potuto concepire ed erigere un'opera di tali impressionanti proporzioni facendosi però tradire, nella sua brama di potere, dallo stesso gigante da lui creato. Questo luogo spinge ad importanti riflessioni su certi comportamenti messi in atto dall'uomo. Viene da chiedersi se valga davvero la pena di rischiare tanto per stringere in mano un pugno di denaro. E forse non a caso spesso la risposta ci viene data dalla natura stessa che ci si rivolta contro.


Ci sono luoghi nei quali aleggia ancora, vivo come il respiro stesso dell'esistenza, lo spirito di un vissuto storico, con le sue memorie ed i suoi moniti... uno di questi è senza dubbio la valle del Vajont.

Il lago e la diga prima del disastro

Longarone dopo il 9 ottobre 1963

La diga dopo il disastro