Il paesaggio è una qualità del territorio determinata dagli elementi naturali ed antropici.
Prof: "Vediamo chi di voi si ricorda la definizione di paesaggio che abbiamo imparato all'inizio di ottobre."
Alunno: "Io! Io la so!"
Prof: "Bene, dimmi."
Alunno: "Eh, son tutte le case, le strade, i tunnel..."
Prof: "Ok, gli elementi antropici. E poi...?"
Alunno2: "Ehm... Le costruzioni..."
Prof: "Chi sa dirmi altri elementi, DIVERSI da ciò che è costruito dall'uomo?"
Alunno3: "AH SI!! IO LO SO! IOIOIOIOIO!"
Prof: "Dai! Dimmi quali sono gli altri elementi non antropici!"
Alunno: "GLI ASCENSORI!"
Prof: "Ok. Io mi do all'eremitaggio!"
venerdì 29 febbraio 2008
Dicesi "paesaggio"
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Siamo proprio tutti umani?
Lezione di geografia. Si parla della biodiversità.
Alunno: "Prof, ma noi siamo umani?"
Prof: "Certe volte ho seri dubbi a riguardo!"
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venerdì 15 febbraio 2008
Perle di saggezza (1)
...ovvero l'avventura quotidiana di ogni prof...
"Ma se un vulcano erutta e io sto sul cratere, la lava mi becca?"
No, ti fa il giro attorno!
Analisi grammaticale
"Egli può: voce del verbo avere..."
"L'uomo erectus fu il primo ad avere l'idea di alzarsi in piedi"
Sì, per andare a spasso!
"Gli antichi Egizi abitavano nelle piramidi"
E venivano sepolti nelle case?
"Massimo il gladiatore era forte e muscoloso e tutti lo chiamavano esposito"
Già, i meridionali invece li chiamavano ispanici.
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Cantundio come gerundio
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domenica 10 febbraio 2008
Istinto e ragione
Qualcuno molto tempo fa disse che la ragione per cui gli esseri umani sono superiori a tutte le altre creature e' che sono in grado di prendere decisioni per mezzo del ragionamento, mentre gli animali si basano solamente sull'istinto.
Io credo invece che per essere veramente superiori dovremmo trovare il giusto equilibrio fra istinto e ragione.(S. Bambarén)
Pubblicato da Tanja alle 12:13 0 commenti
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Possiamo vedere e sentire vicina
una persona nel mondo dei sogni,
e il fatto che al risveglio
non ci sia più
non significa
che non sia stata davvero lì
con noi.
(S. Bambarén)
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lunedì 4 febbraio 2008
Ultimo canto di Saffo
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
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L'Infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
Pubblicato da Tanja alle 09:23 1 commenti
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